Per gli operai dello stabilimento Whirlpool di Via Argine a Napoli è Halloween già da parecchio tempo. 350 persone perderanno il lavoro, 350 famiglie non sapranno come fare a mettere in tavola da mangiare. Nonostante gli aiuti e incentivi attuati dall’allora Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio e dell’attuale Stefano Patuanelli la dipartita dello stabilimento napoletano è ormai segnata. l’articolo che riporto nelle prossime righe è tutto da leggere.
Bisogna partire dall’epilogo per capire perché la vicenda Whirlpool racconta di un vizio. Quello di un Governo, ancor più dei 5 stelle, che ha iniettato nel sistema industriale italiano l’illusione che l’interventismo di Stato possa essere la panacea dei suoi mali. Dove per interventismo non si intende la forma pubblica o semipubblica da conferire a un’azienda in crisi, ma i post trionfalistici dei ministri su Facebook, i selfie di festeggiamento, i sottotitoli dei capitalisti brutti e cattivi piegati all’obbedienza, l’occhio strizzato ai lavoratori, gli accordi autocelebrati come definitivi. Tutto questo è successo anche con lo stabilimento Whirpool di Napoli. Ed eccolo l’epilogo: l’amministratore delegato si presenta al tavolo del Governo e dice che tra sette giorni la produzione si ferma. L’angoscia e la rabbia dei 350 operai e delle loro famiglie, uno sciopero proclamato con un Paese nel pieno della pandemia, le invettive dei ministri contro l’azienda per parare i colpi dell’incapacità di fermare la fuga.
E ora la storia bisogna riprenderla dall’inizio, meglio dall’aggiornamento più recente perché le sorti di questo stabilimento hanno una genesi lunghissima. Il 25 ottobre 2018 il Governo, l’azienda e i sindacati firmano un accordo. In fondo al documento c’è la firma di Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo economico. Alle spalle c’è il piano industriale 2015-2018 che è stato disatteso. Colpa – come riporta la premessa dell’intesa successiva – “della grande aggressività dei competitors”. E poi anche della Brexit, della svalutazione della sterlina e della crescita del prezzo delle materie prime. Insomma tutto va male e allora l’azienda, il 17 maggio 2018, presenta l’andamento del piano e scrive che “nonostante la realizzazione di tutti gli impegni previsti non è stato possibile raggiungere gli obiettivi di crescita previsti dal piano stesso”. L’azienda fa di più: prepara un piano 2019-2021 per portare a compimento quello precedente. Ecco allora che interviene il Governo, che accompagna il tentativo con riunioni e tavoli al Mise. Fino appunto all’accordo sul nuovo piano. Dentro c’è scritto che la produzione in tutti gli stabilimenti italiani, quindi anche a Napoli, va avanti con grandi rassicurazioni, soldi e un orizzonte temporale fissato al 2021, da intendere non come termine ultimo dell’esperienza industriale, ma solo come termine del piano triennale. Insomma nessun riferimento a un possibile addio, tutto il contrario. C’è addirittura una sottolineatura su quanto il piano “rafforza ulteriormente la specificità di ogni sito produttivo e la sua sostenibilità”. Si mettono nero su bianco 250 milioni di investimenti per il triennio. E su Napoli si scrive che continuerà a produrre lavatrici di alta gamma, con “significativi investimenti sul prodotto e in particolare sulle estetiche” nella prima metà del 2020. E per farlo potrà contare su 17 milioni di investimenti. E – dato particolarmente rassicurante – nessun licenziamento, al massimo ammortizzatori.
Firmano tutti e partono i festeggiamenti. Post di Di Maio: “Ce l’abbiamo fatta”. Segue una raffica di titoli, tra cui spicca “nessuno perderà il posto di lavoro”. E il commento, accompagnato dall’immagine del tricolore: “Sono quindi orgoglioso di dire che ce l’abbiamo fatta: stiamo riportando lavoro in Italia”. Quello che accade dopo è un precipitare repentino della situazione. In meno di sei mesi dall’accordo festeggiato. Il Governo ritiene che è stato fatto tutto e al Mise non si tengono più riunioni su Whirlpool. Ma ad aprile Di Maio si ritrova una lettera sulla scrivania. Scrive Whirpool: caro ministro, noi vogliamo vendere lo stabilimento di Napoli. La lettera finisce al centro di uno scambio di accuse con l’ex titolare del Mise Carlo Calenda perché la notizia di quella lettera viene comunicata da Di Maio a maggio. Dopo le elezioni europee. E invece Calenda sostiene che quella missiva è arrivata ad aprile. Per fermare la fuga, il Governo mette 16,9 milioni a disposizione di Whirpool con il decreto salva-imprese approvato dal Consiglio dei ministri il 6 agosto, ma anche questo tentativo fallisce. È il 17 settembre del 2019 quando l’amministratore delegato di Whirlpool Italia, Luigi La Morgia, si presenta al ministero dello Sviluppo economico per annunciare che all’indomani sarebbe scattato il procedimento di cessione del ramo d’azienda per la sede di Napoli. Però – rassicura – il nuovo partner Prs riconvertirà la produzione e tutti i lavoratori non perderanno il posto. Il piano di Di Maio è già saltato. Partono le proteste degli operai, i sindacati indicono scioperi e manifestazioni.
Passano tredici giorni e il 30 settembre Stefano Patuanelli, che intanto ha raccolto il testimone di Di Maio al Mise, si presenta con un video su Facebook per festeggiare il dietrofront dell’azienda. Ma l’azienda, in un comunicato stampa diramato qualche ora dopo, mette le mani avanti: “Va cercata una soluzione condivisa, a fronte di una situazione di mercato che rende insostenibile il sito e che necessita di una soluzione a lungo termine”. Una frase che mette ben in luce la precarietà dell’impegno a proseguire in un impegno strutturale, ma tant’è perché per il Governo una soluzione tampone è sempre meglio di una non soluzione. Intanto Prs si tira indietro. Dopo due mesi Whirpool annuncia che andrà via da Napoli il 31 ottobre. L’amministratore delegato riversa sul tavolo di Patuanelli l’assenza di una “sostenibilità economica della produzione di lavatrici” e la data dello stop dell’impianto.
È da quella data, dal 30 gennaio, che il Governo sa del bye bye dell’azienda. Ma da quella data ad oggi, con otto mesi di preavviso, cosa è stato fatto? Invitalia è stata messa a caccia di un cavaliere bianco, ma intanto si è andati avanti anche con la convinzione che quell’addio potesse essere evitato. E invece giovedì l’amministratore delegato di Whirlpool si è presentato al Mise e ha confermato lo stop della produzione tra una settimana. La sottosegretaria al Mise Alessandra Todde ha pensato di risolvere il tutto con un tavolo permanente, e al ministero, secondo quanto riferiscono fonti di Governo, c’è un piano B per garantire la piena occupazione dei 350 lavoratori, ma i sindacati non ci credono più. Dice Gianluca Ficco, segretario nazionale della Uilm, a Huffpost: “La nostra protesta non è solo contro l’azienda che non ha rispettato gli accordi, ma anche contro il Governo che gli accordi non è riuscito a farli rispettare”. Partono le proteste e i presidi fuori dai cancelli di tutti gli stabilimenti, il 5 novembre sarà sciopero. Tra i sindacati e tra i lavoratori nessuno crede al piano B. Dice sempre Ficco: “Sono mesi che ci parlano di piani B, ma fino ad ora hanno proposto solo alcune assunzioni a spezzatino per fare le batterie all’idrogeno, che non sono neppure brevettate, o componenti per il settore aereo che è uno dei settori più colpiti dal Covid e che non ha certo bisogno di nuova produzione. Tutte cose folli, campate per aria”. Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ritiene che bisogna insistere sul piano A, cioè impedire la cessazione delle attività. I sindacati tirano in ballo Conte. Con gli operai davanti ai cancelli non c’è nessuno del Governo, né qualcuno, con eccezione di Provenzano, si sbraccia per dire che il disimpegno dell’azienda è inaccettabile. Semplicemente se ne prende atto. In fondo è andata così anche per l’ex Ilva o per Autostrade: accordi firmati e festeggiati. E poi ancora da chiudere dopo rispettivamente otto e tre mesi. Per il Governo avevamo già l’Ilva green e la nuova Autostrade senza i Benetton e in mano agli italiani. A Taranto si produce come prima, con la differenza che si produce ai minimi storici e si tira a campare con la cassa integrazione. I Benetton sono lì, con il vento poppa perché la vendita dell′88% di Autostrade significa fare profitto. Eccolo il prezzo politico della spregiudicatezza dell’interventismo di Stato autocelebrato sui social.
( fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/whirlpool-storia-del-fallimento-dellinterventismo-di-stato-autocelebrato-sui-social_it_5f92a09cc5b66d4a0dbe3393?ncid=other_twitter_cooo9wqtham&utm_campaign=share_twitter )
Lascia un commento