Sono 1.080.245 le dimissioni dal lavoro registrate dall’Inps nei primi sei mesi del 2022 con un aumento del 31,73% rispetto allo stesso periodo del 2021. Lo si legge nelle tabelle dell’Osservatorio sul precariato dell’Istituto secondo le quali nello stesso periodo sono raddoppiati i licenziamenti di natura economica (da 135.115 a 266.640). Il confronto con il 2021 risente del fatto che nei primi sei mesi era ancora in vigore il blocco dei licenziamenti per fare fronte alla crisi economica scatenata dalla pandemia. (Fonte: il Sole 24 Ore) Quello che ancora non emerge dai dati è che gran parte dei licenziamenti sono stati indotti dalla scarsa prospettiva di carriera e da turni che non tengono conto della conciliazione famiglia lavoro. Il motivo? Semplice. Le aziende cercano di disfarsi dei vecchi contratti di lavoro a tempo indeterminato, cioè quelli antecedenti all’avvento del Jobs Act del 2015, perché hanno un costo maggiore rispetto a quello per l’assunzione di giovane personale da formare. Si preferisce dunque eliminare la forza lavoratrice competente, che spesso neppure viene reintegrata con le nuove assunzioni. L’ipocrisia è che le stesse aziende lanciano campagne a favore del lavoro femminile con tanto di testimonial promuovendo l’occupazione e la realizzazione del binomio mamma lavoro.
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